Gilgamesh

IL POEMA EPICO DI GILGAMESH


ovvero
“Di colui che vide ogni cosa”

L’epopea di Gilgamesh è uno dei più antichi poemi conosciuti e narra le gesta di un antichissimo e leggendario re sumerico, Gilgamesh, alle prese con il problema che da sempre ha assillato l’umanità: la morte e il suo impossibile superamento.
L’epopea (o più semplicemente “il Gilgamesh”) è anteriore ai poemi omerici (VIII sec. a.C.) e ai Veda indiani (1500 a.C.). Le prime redazioni sumeriche del poema sono fatte risalire ad oltre il 2000 a.C. Documenti su Gilgamesh sono stati rinvenuti più o meno ovunque in Mesopotamia, ma anche al di fuori, come in Anatolia (Hattusa, capitale dell’impero ittita) o in Palestina (Megiddo).

I due fiumi che fecero di questa terra la culla di una civiltà, così come il Nilo per l’Egitto, nascono in Turchia. Essi sono l’Eufrate e il Tigri, scorrono da nord-ovest a sud-est e sfociano nel Golfo Persico. Secondo il mito babilonese della creazione, fu il dio Marduk a creare i due fiumi dagli occhi della dea madre Tiamat.

L’Assiria si estendeva a nord lungo il rapido corso del Tigri. La bassa Mesopotamia era occupata dalla Babilonia, ma prima ancora era suddivisa in due regioni. La più meridionale, delimitata a sud dal Golfo Persico era chiamata “paese di Sumer”. L’altra era chiamata “paese di Akkad” da cui derivò il nome delle prime genti semitiche stanziatesi nel paese.

Il fatto che testi del Gilgamesh siano stati trovati non solo in Mesopotamia testimonia che fin dall’antichità fu avvertito l’enorme valore artistico di quest’opera: il Gilgamesh fu subito sentita come un’opera dalla portata universale. La dimostrazione di questo successo in antichità è data dall’elevato numero di documenti su Gilgamesh attualmente in nostro possesso, circa novanta dispersi fra i musei di tutto il mondo.

CONTENUTO DEL POEMA


Sarebbe ingiusto etichettare l’epopea solo come una parabola della ricerca dell’immortalità. Le peripezie di Gilgamesh hanno risvolti etici, filosofici e antropologici affrontati con una tale maturità e bellezza poetica, che da tempo la critica letteraria ha elevato il poema al rango di capolavoro, accanto alle opere di Omero, Virgilio e Dante.
Un meritevole accenno ai suddetti temi sarebbe incauto senza tuttavia conoscere di cosa parla l’opera. Veniamo pertanto subito alla trama dell’epopea di Gilgamesh. L’opera è divisa in dodici capitoli, detti “tavole”.

Tavola I
L’opera inizia con un inno al re Gilgamesh e alla sua città, Uruk. I sudditi, viene detto, sono però vessati dal loro sovrano e si lamentano con gli dei. Il dio An, sovrano del firmamento, accoglie la supplica e, per dare sollievo al popolo, dispone la nascita di Enkidu. Costui è l’uomo selvaggio che vive con gli animali nella steppa, che potrà tenere a freno la smisurata potenza di Gilgamesh ma anche stargli accanto nei momenti di pericolo. Enkidu però deve essere prima educato alla civiltà. A questo compito provvede la prostituta sacra Shamkhat che gli insegna le basi della vita cittadina prima di condurlo a Uruk.

Tavola II
Enkidu giunge a Uruk in tempo per evitare che Gilgamesh varchi la soglia di una novella sposa. Infatti, a Gilgamesh, in quanto sovrano, spettava lo ius primae noctis, uno dei maggiori fattori di lagnanza popolare. Gilgamesh e Enkidu si fronteggiano ma la forza dei contendenti è paritaria, per questo cessano le ostilità e i due diventano fraterni amici. Gilgamesh, in cerca di fama e avventura, propone allora a Enkidu una spedizione nella foresta dei Cedri dove mille pericoli li attendono.

Tavola III
Gilgamesh convince gli anziani di Uruk ad appoggiare la missione. La madre Ninsun, sacerdotessa del tempio, tuttavia è angosciata della partenza del figlio. Ninsun leva un’intensa preghiera a Shamash, dio del sole, affinché protegga Gilgamesh dai pericoli. Dopo che gli artigiani di Uruk hanno forgiato le armi della missione i due eroi si mettono in viaggio.

Tavola IV (la “tavola dei sogni”)
Il viaggio verso la foresta avviene in un clima di magica sospensione. Ogni sera, i due eroi, prima di coricarsi dal lungo cammino eseguono un sacrificio al dio Shamash. Un demone della sabbia, inviato dal dio, incanta Gilgamesh per fargli avere sogni premonitori. Contemporaneamente il demone infonde a Enkidu il potere di interpretare i sogni. I cinque sogni di Gilgamesh sono tutti a tinte fosche, ma ogni volta Enkidu li interpreta come segnali di buon auspicio da parte del loro dio protettore.

Tavola V
Gilgamesh e Enkidu giungono nella foresta dei cedri e cercano i tronchi migliori da tagliare e portare a Uruk. Vengono scoperti dal mostro Khubaba, posto a guardia della foresta dal signore degli dei, Enlil. Il mostro maledice i due uomini, sperando d’impaurirli, ma gli eroi non indietreggiano e lo scontro ha inizio. Con l’aiuto di Shamash, Gilgamesh e Enkidu riescono a sopraffare il mostro che chiede pietà. Enkidu tuttavia avverte Gilgamesh che le parole del mostro contengono menzogna e sprona l’amico a finire la creatura. Il bottino è grande. Gli alberi sacri vengono tagliati e portati a Uruk.

Tavola VI
Gilgamesh è acclamato e Ishtar, dea dell’amore, osservando il sovrano in tutto il suo splendore se ne invaghisce. La dea scende a Uruk e propone a Gilgamesh di sposarla. L’eroe rifiuta la sua proposta in termini che oltraggiano la dea. Ishtar allora fa liberare il Toro Celeste che come una calamità si abbatte sulla città. Intervengono Gilgamesh e Enkidu che come in una corrida riescono a bloccare e uccidere il mostro. La gloria di Gilgamesh raggiunge l’apoteosi e mentre tutto il popolo lo acclama, Ishtar piange il Toro con le sue ancelle.

Tavola VII
Spente le libagioni, Enkidu sogna il consiglio degli dei. L’olimpo non è contento ma offeso dai ripetuti sacrilegi. Enlil decreta che uno dei due eroi muoia. Poiché Gilgamesh ha sangue divino nelle vene, la pena ricade su Enkidu che cade in agonia. Gilgamesh è disperato, perché non può fare nulla per il moribondo che, vaneggiando, maledice la porta costruita col cedro della foresta e la prostituta che lo aveva introdotto alla civiltà. Shamash però rincuora Enkidu preparandolo al trapasso. In un ultimo sogno Enkidu ha la visione della Casa della Polvere, il regno dei morti dove è destinato.

Tavola VIII
Enkidu muore e Gilgamesh lo piange intonando un lamento funebre al quale si unisce tutto il popolo in lutto. Viene preparato un regale corredo funebre che accompagnerà il defunto nell’aldilà.

Tavola IX
Gilgamesh è sconvolto dalla morte del compagno e s’interroga se anche lui dovrà un giorno perire nello stesso modo. In cerca di una risposta abbandona Uruk disperato, vagando per la steppa affamato e derelitto. Giunge fino alla porta di una montagna sorvegliata da creature metà uomo e metà scorpione. I guardiani mostruosi riconoscono in lui carne divina e lo lasciano passare. Gilgamesh attraversa l’oscurità della montagna e all’uscita si ritrova nello splendente giardino di Shamash dove diamanti e lapislazzuli crescono sugli alberi.

Tavola X
Il giardino di Shamash è sorvegliato dalla vivandiera Siduri che commossa dalle implorazioni di Gilgamesh gli spiega come raggiungere l’antenato Utnapishtim, reso immortale dagli dei per aver superato la prova del diluvio universale. Incontrato il traghettatore Urshanabi, Gilgamesh può attraversare le acque della morte che separano la dimora di Utnapishtim dal resto dell’umanità. Gilgamesh infine raggiunge l’antenato che però non ha alcun segreto di lunga vita da rivelare.

Tavola XI (la “tavoletta del Diluvio”)
Gilgamesh non crede a Utnapishtim. L’antenato racconta allora come riuscì a salvarsi dal grande diluvio. Fu solo al termine di questa calamità, scagliata dagli dei per sopprimere gli uomini, che si creò l’unica situazione in cui fu garantita vita eterna ad un mortale. Gli dei, infatti, riunitisi in consiglio per decidere il destino di Utnapishtim, lo elessero a loro pari destinandolo a vivere lontano dal mondo. Fu quindi grazie a un consiglio divino che Utnapishtim divenne immortale, ma tale consiglio non potrà mai ripetersi per Gilgamesh. Il re di Uruk prova allora a sottoporsi alla prova del sonno per mostrare di meritare una simile possibilità, fallendo però miseramente. Gilgamesh si sente sconfitto, ma Utnapishtim gli fa un ultimo dono prima del viaggio di ritorno: la pianta dell’irrequietezza che restituisce vigore al fisico.
Sulla strada per Uruk, Gilgamesh fa una sosta in un’oasi lasciando incustodita la pianta magica. Quanto basta affinché un serpente, possa avvicinarsi e divorare la pianta, perdendo la pelle e ridiventare giovane. A Gilgamesh non rimane che accettare il suo destino mortale e tornare a Uruk dove riprende l’esercizio del potere con i suoi strumenti: il pukku e il mekku (il tamburo e la bacchetta della guerra).

Tavola XII
I lamenti delle vedove fanno cadere il pukku e il mekku agli inferi. Enkidu (di nuovo vivo, come in un flashback) si accolla il compito di recuperare gli arnesi del potere. Gilgamesh raccomanda a Enkidu di rispettare tutti i tabù degli inferi per garantirsi il ritorno. Purtroppo Enkidu infrange i tabù e viene intrappolato. Gilgamesh riesce a far liberare Enkidu grazie all’aiuto di Shamash che intercede presso Nergal, signore dell’oltretomba. Ma Enkidu è già morto come apprende Gilgamesh quando al suo cospetto torna solo un’ombra. Nel corso dell’ultimo incontro col vecchio compagno di avventure, Enkidu spiega il destino degli abitanti dell’oltretomba.